Saliva i gradini del sottopassaggio che conduce al campo di gioco per primo, due passi sopra gli altri. Guardava i compagni dall’alto in basso ed esclamava: “Tranquilli, oggi la partita la vinco io”. Ed alle parole seguivano i fatti. Questo era Lothar Matthaeus, un uomo che le partite le sapeva vincere per davvero. Non è un caso, infatti, che appena giunto all’Inter nella stagione 1988/1989, insieme al suo amico Andy Brehme, guidò la conquista dello scudetto dei record, il tredicesimo della storia nerazzurra.
Probabilmente è stato il giocatore più forte che abbia vestito la maglia nerazzurra negli anni ’80. Incontenibile nelle sue progressioni palla al piede, indossava la maglia numero 10, dopo che nel Borussia Moenchengladbach aveva il 6 e nel Bayern Monaco l’8. Scherzando diceva: “Vorrà dire che da vecchio farò il secondo portiere col numero 12″. Da vecchio invece ha giocato da numero 10, 8 e 6.
Lotharone ha registrato numeri eccezionali con la maglia dell’Inter. Il primo anno realizzò 9 reti tra cui quella che firmò il 2-1 sul Napoli nella gara-scudetto al Meazza. Ed oltre ai gol c’era una presenza in campo che intimoriva gli avversari, costringendoli a rintanare dietro. Nel 1990 vinse il Pallone d’Oro.
Matthaeus totalizzò con la maglia nerazzurra 153 presenze, impreziosite da 53 gol, di cui 40 in campionato, e mettendo in bacheca anche la Supercoppa Italiana del 1989 e la Coppa UEFA del 1990/1991. Quando ha lasciato l’Inter ha giocato ancora a lungo nel Bayern e nella Nazionale teutonica, sfiorando una Champions League e chiudendo la carriera negli States, ormai quarantenne.
Nella seconda parte della propria carriera calcistica, Lothar si è reinventato allenatore giramondo, senza tuttavia mettere da parte la caratteristica impulsività del suo carattere di ferro. Quando è stato chiamato ad allenare il Rapid Vienna, al primo allenamento ha tolto la fascia da capitano a Peter Schottel dicendogli: “Nel 1990 mi hai quasi spaccato una gamba!”.