L’equilibrista del Circo Maximo

 

schemi

4-3-3, 3-5-2, 3-4-1-1, 4-4-2, 4-2-3-1, 4-6-0, 4-sparalavia…

Potrei continuare all’infinito come infiniti sono i moduli adottati quest’anno dall’Inter.

In un turbinio di cifre che spesso e volentieri celano nessun significato, l’Inter di Stramaccioni non ha saputo ancora (dopo 7 mesi) trovare automatismi, sicurezze, idee, un’identità propria derivanti da un unico comun denominatore: IL LAVORO.
Dopo più di mezza stagione ormai da tramandare (in negativo) ai posteri, ricordiamo pochissime prestazioni convincenti e troppi evidenti errori, tare e lacune che ci trasciniamo dietro e che ogni avversario sa ormai come evidenziare:
L’ennesimo tempo regalato all’avversario.

L’atavica incapacità di formare un unico blocco in campo dove la squadra si muova all’unisono.

L’idea inesistente di qualsivoglia schema o trama offensiva anche la più banale.

La spasmodica ricerca dell’improvvisazione dei singoli come unica arma da opporre all’avversario di turno.

Le inaccettabili condizioni atletiche.

Il risibile (per rassegnazione) ripetersi nel tempo di segnature avversarie uguali le une alle altre senza esser mai riusciti a porvi rimedio alcuno.

L’inadeguatezza delle prestazioni e delle capacità tecniche di alcuni singoli.

La presenza dell’”oasi avversaria” tra il nostro centrocampo e l’attacco e dell’”inferno nerazzurro” tra il centrocampo e la difesa figlia di uno sfilacciamento e di un inesistente equilibrio mai realmente trovato.

Il pressing individuale e mai di collettivo.

L’incapacità di fare 2 passaggi di fila.

L’assoluta inesistenza di movimenti, né in orizzontale né a maggior ragione in verticale, che consentano al portatore di palla più opzioni di passaggio per una squadra che, per pochezza di contenuti tecnici e inadeguatezza nel palleggio, ricerca costantemente la profondità.

Sono solamente alcuni punti, i più significativi ed evidenti, che fotografano l’anticalcio perpetrato dall’Inter all’11/03/2013.

Ci sono tante spiegazioni che possono essere fornite. Altrettante sono le scusanti per il tecnico di fronte il povero materiale umano messogli a disposizione dalla società, ma non ci occuperemo di quest’ultime.

Quel che sembra palese anche ai novizi del gioco del pallone è che l’Inter non è una squadra. La visione che diamo all’esterno è di un’accozzaglia di giocatori, sconosciuti gli uni agli altri, ritrovatisi lì per caso che tentano, nei limiti del possibile, di sciorinare qualcosa che sia avvicinabile al concetto di “calcio”.
Il nostro tentativo, che continua da inizio stagione, ha dato spesso risultati negativi.

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Gli infortuni, le partenze eccellenti di giocatori su cui il tecnico puntava più o meno con decisione, la delegittimazione del suo lavoro, hanno messo a dura prova il nostro allenatore.
Stramaccioni avallando come il più fedele degli aziendalisti ogni singola mossa della società (es. “Rocchi l’ho scelto io”) s’è dato la zappa sui piedi aggravando la sua già difficile posizione.
La conseguenza è un uomo assolutamente devastato, irriconoscibile, a tratti farneticante per qualche sua dichiarazione in completa antitesi alla precedente. In tutto ciò la squadra e le sue prestazioni sono inguardabili. La media punti da 3 mesi abbondanti è da zona retrocessione e ogni sicurezza è andata smarrita.

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Ieri sera il nervosismo si tastava con mano dentro e fuori dal campo. Una squadra a tratti vogliosa (va dato atto), ma assolutamente inconcludente, incapace di far male attraverso una manovra corale. Una non-squadra, appunto.

E’ inutile, quindi, andare nello specifico della singola partita o del singolo episodio, perché quanto espresso sopra è costante stagionale e come tale vale spesso, per non dire sempre, per ogni singolo match.

Analizziamo, invece, le costanti degli episodi che soffriamo, dando un rapido sguardo alla gara di ieri per elencarne alcuni.

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Il 4-2-3-1 del Bologna vede Gabbiadini sulla sinistra stringere molto la posizione vicino Gilardino in fase di possesso, specialmente se l’azione viene condotta sull’altra fascia. Diamanti, collante e faro assoluto della manovra felsinea, è colui deputato a creare gioco. Christodoulopoulos è giocatore da inserimento. Gilardino terminale offensivo sempre pronto a correre al di là della linea avversaria.

Il sacrificio dei 2 esterni (Gabbiadini e Christodoulopoulos) sarà un fattore determinante dell’ottima partita della squadra di Pioli.

Garics e Morleo (i 2 esterni bassi) per caratteristiche spingono molto. Pérez e Taider sono i 2 centrocampisti davanti la difesa. L’uruguaiano con compiti di copertura, il francesino un tuttofare.

Il gioco dei rossoblù si svolge spesso sulle fasce, zona di campo in cui noi soffriamo terribilmente per la scarsa predisposizione alla copertura di molti nostri interpreti e per l’incapacità di coprire il campo in ampiezza e in lunghezza.

La geniale idea (!) Benassi sul fascione (a metà tra un interno e un esterno) manderà completamente nel tilt il giovane Marco, stretto tra una copertura sulle avanzate di Garics e l’incapacità di trovare la giusta posizione in campo nelle rare fasi di possesso collezionate in una delle prime frazioni peggiori della stagione.

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Il movimento a stringere di Gabbiadini e l’imprevedibilità di Diamanti, mettono spesso in difficoltà i nostri 2 mediani (Stankovic e Gargano), davanti la difesa. Ho perso il conto di quante partite abbiamo sofferto il movimento a stringere di un esterno che si posiziona tra difesa a centrocampo mandando completamente in tilt la nostra linea difensiva incapace di tamponare accorciando.

Il goal partita arriva sui sempreverdi errori individuali (a volte sommati tra più giocatori). Il primo errore parte da Cassano (da lui ci si aspetta che sappia dare un pallone di ritorno per favorire l’inserimento di un compagno, nel caso specifico Kovacic), per finire a  Juan Jesus, reo di perdere completamente il contatto con Gilardino (non è la prima volta che il brasiliano commette questo errore).

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Lentezza a scalare sull’esterno.

Sofferenza dell’uomo o di movimenti sulla trequarti.

Incapacità di accorciare o tamponare sulle punte avversarie.

Sofferenza sulle palle inattive.

Pressing individuale.

Scollatura tra i reparti.

Ignoranza dei fondamentali della fase difensiva.

Nessun miglioramento individuale in allenamento di evidenti lacune interpretative.

Svogliatezza, anarchia e incapacità fisiche di alcuni giocatori nell’interpretazione della fase difensiva e nel rispetto delle consegne tattiche.

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Stramaccioni non è stato in grado di lavorarci per diversi motivi già espressi nel precedente articolo e le cose non cambieranno di molto nemmeno con l’arrivo di un nuovo tecnico.

Ciò che serve a questa squadra è un abbattimento di totem milionari e ingrassati.

Un sostanziale rinnovamento della rosa (anche senza qualificazione Champions).

Un tecnico motivato, con le spalle larghe, che sappia lavorare coi giovani e soprattutto sedere sulla nostra panchina.

Ma soprattutto una società presente, innovativa, coraggiosa e non più ancorata al passato, i cui principi fondamentali siano: modernità, sviluppo, futuro ed ebbene sì, la tanto detestata parola, progettazione.

Siamo su un filo sospeso alla mercè degli agenti atmosferici, basta poco per perdere l’equilibrio e cadere giù.
Vero, Maximo?

SPORT, FINALE CHAMPIONS LEAGUE 2010: ALLENAMENTO INTER

About Francesco Lo Fria

Nato a Palermo nel 1990, inizia fin da piccolo a seguire il calcio, nazionale e internazionale. Credente dell'Inter e tifoso/simpatizzante di molte squadre a livello mondiale viene affascinato fin da subito dalla preparazione tecnico-tattica delle partite e tutto ciò che sta al di là dei 90 minuti. Inizia, quindi, a studiare e documentarsi, ampliando le sue conoscenze calcistiche. Specializzato in particolar modo sulla fase offensiva e grande conoscitore di giocatori e giovani promesse, comincia a scrivere su qualche blog, sempre in ambiti ristretti, con qualche breve apparizione su blog più importanti. Il suo sogno è quello di poter condividere le sue capacità e conoscenze e poter parlare di questo fantastico sport che è il calcio, tanto meglio se di Inter nel tentativo di potersi ritagliare uno spazio e un lavoro.