Le responsabilità della società, dal comandante del vapore all’ultimo dei magazzinieri, sono di evidenza palmare e conclamata.
Le contraddizioni sono all’ordine del giorno: l’allenatore dice una cosa poi il presidente ne dice un’altra con la prima dissonante e, dulcis in fundo, il direttore tecnico smentisce ambedue le precedenti.
Le sortite piene di falsi luoghi comuni in stile “i grandi vecchi ci hanno condotto alla riscossa a Catania” sono tornate in auge neanche avessimo giocato a Firenze o a Siena con gli Allievi Nazionali in campo.
Ciò che sembra dolorosamente evidente è l’indolenza della società o più semplicemente l’incapacità della stessa di mantenersi ai livelli che storia e prestigio le hanno riservato in centocinque anni di vita.
La nostra competitività è crollata e i grandi vecchi sono andati incontro a un fisiologico processo di decadimento fisico sfociato, inevitabilmente, in prestazioni altalenanti.
I campioni che così pesantemente hanno inciso nei successi recenti hanno lasciato l’Inter per più comode e ben remunerate esperienze. Il loro vuoto in alcuni casi è stato colmato da giocatori mediocri o normali e in altri non è stato colmato affatto. Il pesante deficit di bilancio, fastidioso corollario dei successi morattiani, è stato drasticamente ridotto (anche se l’esercizio corrente registra ancora un rosso da circa 60 milioni di euro): un risparmio però tradottosi in una perdita di competitività della squadra che ha raggiunto il suo picco massimo di risalto nell’amarissima serata di ieri.
L’allenatore ha progressivamente perso l’entusiasmo e la convinzione che avevano contraddistinto i suoi primi passaggi nell’Inter dei grandi: ha pagato la scelta di avallare, senza protestare, qualunque decisione dirigenziale. La sua esuberanza coi media, tollerata finché i riscontri sul campo sostenevano i suoi eccessi verbosi, gli si è ritorta contro quando i risultati sono venuti meno insieme alla sua lucidità nelle scelte e nell’impostazione tattica. Sono così venute, drammaticamente, a galla tutte le perplessità che avevano accompagnato la sua promozione in prima squadra e la successiva riconferma sulla panchina dell’Inter.
Tutto ciò che ne è conseguito e che stiamo vivendo adesso è normale conseguenza dell’operato disastroso, in termini sportivi, di una società amministrata da persone i cui errori di gestione, costosi e macroscopici, non sembrano minimamente scalfirne posizione e legittimità in seno alla società.
Per quanto dovremo convivere con questa situazione non è dato sapersi.
Nel frattempo lasciamo ancora che un povero ragazzo senza arte né parte, privo di coraggio, impossibilitato a fare scelte tecniche drastiche e delegittimato continuamente anche da dichiarazioni più o meno velate di big dello spogliatoio, si sieda sulla nostra panchina.
Lasciamo che eroi di mille battaglie ritardino la loro pensione o la loro esclusione dall’undici titolare in favore di quello che dovrebbe essere un naturale rinnovamento.
Lasciamo che onesti mestieranti della pedata indossino i sacri colori venendo addirittura strapagati.
Cerchiamo di rimanere l’unica squadra ancorata al passato in cui il termine “futuro” sia pasto fumoso per la massa credulona e non obiettivo primario da perseguire per dare nuovo lustro alla NOSTRA INTER.
Continuiamo l’opera di distruzione. D’altronde al peggio non c’è mai fine.